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Georges St-Pierre, il più grande di tutti

Nel giorno del suo compleanno ripercorriamo le tappe della carriera di GSP, il G.O.A.T. delle MMA

Georges St-Pierre

In ogni sport c’è sempre la discussione su chi sia il più grande di sempre – il famoso G.O.A.T. – e troviamo sempre persone con pareri diversi: chi pende per Pelé e chi per Maradona, chi per Michael Jordan e chi per Kobe Bryant e, infine, chi vede Alì come il migliore di tutti i tempi e chi invece Tyson. Questa diatriba c’è anche nelle MMA ma qui, a differenza degli altri sport, c’è una linea di pensiero comune: il più grande di sempre è Georges St-Pierre. 

Nel giorno del suo compleanno ripercorriamo le tappe della carriera del campione più iconico della storia UFC.

Bullismo e Van Damme: gli inizi di Georges St-Pierre

Georges St-Pierre nasce a Saint-Isidore (Quebec) il 19 maggio 1981 ed è il primo genito di Pauline e Roland. Come la più classica delle favole, Georges non vive un’infanzia serena, caratterizzata da tanto bullismo e violenze da parte dei suoi coetanei: un po’ nerd, amante della scienza e delle materie umanistiche, viene preso di mira dai ragazzi della sua scuola anche per il suo fisico corpulento.

Tra un museo e un libro, Georges ama vedere i film di Jean-Claude Van Damme e, da lì, inizia a praticare il karate, scuola di combattimento e di pensiero che lo accompagnerà per tutta la vita. Con il passare del tempo, GSP tiene alla larga i bulli e si scopre essere un grande atleta, affacciandosi alla disciplina che lo renderà eterno: le MMA.

Il fighter che ha cambiato i canoni delle MMA

A vedere Georges St-Pierre non si direbbe che è un fighter: sorridente, allegro, educato e gentile, stona con l’immaginario che un lottatore debba essere rigorosamente arrabbiato, distruttivo e in guerra con il mondo intero. GSP, inoltre, è stato prima un atleta e poi un fighter: avanti anni luce nella preparazione e nelle metodologie di allenamento – con coach Firas Zahabi della Tristar Gym limitava lo striking pesante per prediligere footwork e corpo libero – è maturato nel tempo fino a diventare il prototipo perfetto del lottatore di MMA.

A 21 anni inizia la carriera nelle arti marziali miste, dove colleziona cinque vittorie e zero sconfitte: uno score che, due anni dopo, convince la UFC a metterlo sotto contratto. Qui affronta Karo Parisian e Jay Hieron. mostrando subito un’ottima capacità di destreggiarsi nello striking e nella lotta, suo habitat preferito.

Le vittorie che ottiene lo catapultano direttamente alla title shot contro Matt Hughes, campione dei pesi welter con alle spalle 36 incontri da professionista (di cui sette vittorie e una sconfitta in UFC). GSP ha troppo rispetto e paura del campione, tanto da non riuscire a mettere in atto il suo game plan, con il campione che mantiene la cintura grazie a un’armbar arrivata allo scadere della prima ripresa: per St-Pierre è la prima sconfitta in carriera.

Un passo falso che, però, non demoralizza Georges: raccolti i cocci affina ancora di più lo striking – il jab diventerà una delle sue armi letali – e il grappling, sua vocazione. Il match della rinascita è contro  Sean The Muscle Shark Sherk, fighter che fa della lotta a terra la religione con uno score di 31-1-1. Numeri che, però, non spaventano GSP che domina l’avversario portandolo a terra tre volte e, dopo un violento ground-and-pound, costringono l’arbitro a fermare il match alla seconda ripresa.

Dopo Sherk arriva un altro importante esame di maturità: BJ Penn, una leggenda vivente delle MMA. A UFC 58 GSP soffre tremendamente la pesante boxe di Penn, ma riesce comunque a riprendersi e mettere più colpi significativi (59-37) aggiudicandosi così la vittoria per split decision.

È il momento di prendersi la rivincita su Matt Hughes e, per farlo, Georges St-Pierre mette da parte il rispetto: nella prima ripresa il canadese sfodera tutto il suo armamentario dello striking, tartassando il campione con jabspinning back kick, gancio destro e il Superman punch, colpo che spegne il Hughes ma sul suono della campana. Nella seconda ripresa il copione è sempre lo stesso, con St-Pierre che trova il KO vincente con un combo jabhigh kick che gli consegna la cintura dei pesi welter.

La gloria è raggiunta, ma dura poco: nella sua prima difesa del titolo Georges St-Pierre viene spiazzato dal killer instict di Matt Serra: il campione perde la cintura e il suo secondo match in carriera, un imprevisto che però lo plasmerà ulteriormente, facendolo diventare una macchina perfetta. Capisce che non sa incassare bene i colpi, affilando così le sue capacità di tenere a distanza gli avversari, di portarli a terra e controllarli il più a lungo possibile: negli anni verrà criticato (da presunti esperti) per questa sua strategia, ma per lui l’importante era vincere e per farlo, dove quasi azzerare i rischi di sconfitta.

Dopo aver battuto (dominando)Josh Koscheck, affronta per la terza volta Hughes per il titolo ad interim dei welter: vince per sottomissione (armbar ndr) ed è pronto alla rivincita con Serra. Rispetto al primo incontro GSP non si lascia sorprendere, ma scarica sul povero Serra una miriade di colpi che culmina con una serie di ginocchiate devastanti al corpo.

Difenderà il titolo con successo altre nove volte, ma negli ultimi tre match – contro ConditNick DiazHendricks – Georges St-Pierre non è più lo stesso: prende una miriade di colpi, più di quanti ne avesse subito fino ad allora, una condizione che lo porta a ritirarsi. Una pausa che dura quattro anni, quando nel novembre 2017 decide di tornare per affrontare Michael Bisping, re dei pesi medi:  bastano tre round e una rear-naked choke a GSP per conquistare la cintura e diventare uno dei pochi atleti di MMA a diventare campione in divisioni di peso diverse.

Georges St-Pierre conquista la cintura dei pesi medi.

Georges St-Pierre conquista la cintura dei pesi medi.
Credits: The42.
Via: Google.

Perché Georges St-Pierre è il GOAT delle MMA

Stufo dell’ambiente che si stava creando e desideroso di avere una vita normale non dedita solo alla competizione, dopo il match con Bisping Georges St-Pierre non ha più combattuto. Continua ad allenarsi come un professionista, ma solo per tenersi in forma: ma perché è il GOAT delle MMA?

Non c’è una risposta unica, possiamo solo dire che è il fighter che ha dedicato tutto se stesso a questa disciplina: ha lavorato sempre per migliorarsi, sviluppando un fight IQ che pochissimi atleti hanno e ha capito quando era il momento di smettere. La sua maniacalità, dedizione e la sua sete di vittoria – seguita dall’ombra della paura di perdere – lo hanno reso un esempio da seguire per atleti e non.

Come Michael Jordan, quando diventi più grande del tuo sport è meglio ritirarsi, vivere la vita in santa pace e lasciare che gli altri rincorrano il sogno di essere – anche per poco – come te.

 

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Il primo match di MMA che ho visto è stato Jones vs. Gustafsson 1: da quel momento ho capito che era amore. Il mio fighter preferito? Un mix tra la sfrontatezza di Nate Diaz, il coraggio de 'El Cucuy', l'eleganza TJ Dillashaw e la tecnica di Jon Jones.

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